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I processi non funziano? Colpa del perito di parte

Forti attacchi durante il convegno organizzato da Ris e Università alla prova scientifica e alle interpretazioni dei periti. Per migliorare lo stato della giustizia italiana si invocano maggiori controlli su chi fornisce valutazioni. Ma dall’università arriva un monito: “C’è troppa ignoranza sulle scienze forensi, bisogna studiare di più”. La storia della prova scientifica in Italia è arrivata alla resa dei conti: mentre giudici, avvocati e forze dell’ordine litigano fra loro per trovare una soluzione, la politica sta a guardare dando più attenzione al processo mediatico che a quello celebrato nei palazzi di giustizia. Ma non è fra le cattedre di un tribunale o negli studi televisivi che si attacca la prova scientifica; è in un’aula universitaria della facoltà di farmacia, a Parma, durante il convegno “il ruolo della scienza nell’indagine e nel processo” organizzato in collaborazione con i RIS. La grande inquisita è l’oggettiva risposta di un laboratorio: per gli avvocati il dato tecnico è diventato troppo importante, sostituendo le indagini tradizionali. Per i giudici e le forze dell’ ordine invece rimane troppo facile far dire quello che si vuole ai risultati dei laboratori. Ma è davvero così? L’avvocato Eraldo Stefani, difensore penalista del foro di Firenze, il primo a prendere parola durante il convegno, cita un caso di omicidio per distruggere la grande validità della prova scientifica. Un episodio avvenuto in provincia di Arezzo, nel 2000. Due morti, uccisi a fucilate, un solo indizio: l’impronta di una scarpa. La polizia scientifica nel giro di 48 ore recupera un indiziato: E’ un muratore che conosceva l’uomo ucciso. L’impronta di scarpa è la sua. Sulle sue mani ci sono tracce di polvere da sparo. Viene accusato di omicidio e condannato in primo grado. Ma sfruttando le prove scoperte dai Ris e indagando su una pista alternativa, l’a vvocato Stefani scopre che le due prove della colpevolezza del muratore sono state interpretate male ed hanno portato in carcere un innocente. In appello il muratore rumeno viene prosciolto. “ Con questo esempio – afferma Stefani - potete capire che la prova scientifica senza la prova investigativa non va da nessuna parte. In questa epoca di innovazioni tecnologiche i professionisti hanno dimenticato la cultura dell’investigazione e delle scienze forensi. Anche i dati oggettivi possono essere interpretati in modo sbagliato, come è capitato ad Arezzo. Un’impronta falsificata dall’a ssassino e una non corrispondenza della polvere da sparo sulla mano del mio assistito lo hanno salvato dal carcere”. Quindi le prove da soli diventano inutili, se non dannose. Bisogna stare attenti alle interpretazioni, alla malafede e soprattutto “ all’ignoranza che circola nell’ambiente della giustizia” spiega il professor Giovanni Mori, promotore del master in scienze forensi dell’Università di Parma: “Le prove non parlano mai da sole. Non si può di certo affidarsi solo alla scienza. Non è perchè ci sono i Ris che adesso non si fanno più gli interrogatori o i pedinamenti”. Il problema quindi non è avere a disposizione prove inconfutabili, ma “farle analizzare da persone qualificate e da periti indipendenti dalle parti - continua Mori – oggi è impossibile perché chiunque può diventare perito giudiziario e gli avvocati si affidano a persone che non hanno competenze ma che millantano certezze”. Insomma nel campo della giustizia vince ancora il più furbo, portando del caos nelle indagini; ma sembra giunto il momento cambiare le cose, come afferma il GIP del tribunale di Milano Giuseppe Gennari: “Ci vogliono certificazioni precise, soprattutto quando l’attività richiede prove laboratoriali che hanno bisogno di standard elevati”. I capri espiatori delle lungaggini processuali e delle inutili interpretazioni, oltre che della spettacolarizzazione dei processi con continue apparizioni in TV, diventano quindi i periti, gli analisti, gli specializzati. Un mondo che si difende, anche nelle parole dell’investigatore Dante Davalli, perito che ha lavorato per la difesa di Antonella Conserva nel processo Tommy: “La prova scientifica si può stravolgere come si vuole. Purtroppo le interpretazioni che si danno di una risultato di laboratorio sono tante. E non si può evitare che ci sia un confronto su queste prove”. Un confronto che allunga i tempi delle indagini e mette a confronto, paradossalmente, analisi di una stessa scena del crimine che portano a risultati completamente diversi. Facendo diventare il processo reale una cosa poco interessante e troppo lunga. Meglio quindi il processo televisivo “che in Italia è ormai il vero processo” spiega amareggiato il GIP Giuseppe Gennari. “E’ lì che si decidono colpevoli e innocenti. Chi ha interessi nel mondo politico preferisce gestire il processo mediatico e informativo. Il processo giudiziario è già in stato semi comatoso e non ha bisogno di ulteriori colpi”. Fra il diritto di cronaca e i plastici di Cogne quindi sembrano affogare le ultime speranze di avere una giustizia più vicina alla realtà anche nel nostro paese. Per questo l’u niversità di Parma si aggrappa all’Europa, facendo diventare il master in scienze forensi un progetto finanziato da Bruxelles che coinvolgerà anche Germania e Ungheria. Magari al traino di stati più avanzati potremo tornare ad avere prove scientifiche univoche e utili per trovare dei colpevoli, non solo spunto per centinaia di dibattiti in tv.